Cultura Pistoia

da sabato 15 Febbraio 2014 a sabato 15 Marzo 2014

POPistoia: al Palazzo Comunale la mostra “Sul palco del Manzoni. Gli anni ’70 la rinascita e le insolite avventure di un teatro di provincia”

POPistoia, dopo la parentesi in anteprima delle Musiche indipendenti, riprende il suo percorso attraverso le culture POP del secondo novecento. E approda ai ’70.

A quel “decennio lungo del secolo breve” così controverso e contraddittorio.

 

Per alcuni i Settanta sono gli anni del terrorismo dilagante, cupi, di piombo, per altri sono gli anni della lotta armata in un paese che era sul punto di sollevarsi; per altri ancora sono anni di liberazione e di speranza, di diritti conquistati, di nuovi spazi e opportunità di vita individuale e collettiva. Immagini fratte in un caleidoscopio che non consente ancora di consegnare agli storici quel decennio, stringendolo in una formula o sintetizzandolo in uno schema univoco.

 

POPistoia getta uno sguardo sugli anni ‘70 attraverso le lenti del Cinema e del Teatro. Perché cinema e teatro sono i mezzi che forse meglio riescono a rappresentare e restituirci quella complessa stagione.

 

La rassegna di cinema anni ’70 (ospitata del Cinema Globo ogni martedì a partire dal 21 gennaio) fra le altre pellicole prevede l’11 febbraio, come evento speciale la proiezione di Anna, il film del 1975 diretto da Alberto Grifi e Massimo Sarchielli.

 

SUL PALCO DEL MANZONI

Gli anni ’70, la rinascita e le insolite avventure di un teatro di provincia

 

Pistoia negli anni ‘70 diventa un punto di riferimento nazionale per l’attività del Teatro Manzoni. Il Teatro Manzoni, passa alla gestione pubblica nel 1970, diventa rapidamente il centro di maggiore vitalità nella vita culturale della città nel corso di tutto il decennio.

Individua una propria identità e si differenzia subito in modo netto rispetto ai tanti altri teatri, che hanno seguito lo stesso percorso negli stessi anni, per l’interesse e la grande apertura -accanto alla tradizionale stagione di prosa “in abbonamento”- verso quello che allora si chiamava “teatro sperimentale”, un fenomeno italiano molto specifico nel panorama europeo, la cui nascita, sviluppo e fine avviene proprio nel corso degli anni ‘70, per opera di grandi personaggi della scena teatrale che ancora oggi sono attivi e svolgono ruoli da protagonisti a livello internazionale. I grandi attori scelgono il Manzoni per il loro debutto e sostano per giorni a Pistoia con le loro compagnie : Tino Buazzelli, Paolo Poli e Ugo Pagliai sono di casa , e insieme a loro si ospitano e si producono eventi teatrali performativi che hanno visto la presenza delle più vive e avanzate esperienze artistiche nazionali e internazionali. Fra tutte ci piace ricordare il Gruppo della Rocca.

“Teatro e musica verso nuove forme espressive”è il titolo della rassegna che per cinque anni, a partire dal 1976, ha richiamato a Pistoia i protagonisti della sperimentazione : De Berardinis, Nanni e Kustermann, Ricci, Vasilicò, Perlini, Tiezzi e Lombardi, Gaia Scienza, Chiari, Miccini, Cardini, Curran, Mosconi sono solo alcuni dei nomi che onorano quella stagione; che tra l’altro ha visto le prime mosse dei poi famosi Barberio Corsetti, Martone, Servillo, Cauteruccio ed altri.

Il decennio si chiude, nel maggio 1980, con una manifestazione di grande rilievo internazionale: l’incontro Italia-California (Incontri Internazionali Arte-Teatro / 1), con eventi artistici che raccoglievano il meglio delle esperienze performative italiane e californiane (tra gli artisti ricordiamo Michelangelo Pistoletto) e relazioni di autori e critici del calibro di Barilli, Bartolucci, Celant, Pivano, Cordelli, Mendini, Kirby, Shank. La rassegna stampa è un intero libro con articoli delle maggiori riviste di arte e teatro oltre a tutte le testate giornalistiche nazionali e di numerosi giornali locali di ogni parte d’Italia, per non parlare dell’attenzione riservata alle manifestazioni dai media stranieri, dal “Frankfurter Allgemein Zeitung”, alle riviste d’arte americane e europee, dalla radio tedesca a quella svizzera.

Le immagini di Pistoia circolarono nel mondo, il successo fu strepitoso.

 

La Mostra dedicata al Manzoni incrocia così le vicende culturali di “una tranquilla città di provincia” con i fermenti le trasformazioni e i rivolgimenti che nel decennio fra il settanta e l’ottanta hanno segnato la scena teatrale, la cultura, le arti, la società.

 

Nella sede, le Sale Affrescate, abbiamo allestito un piccolo palcoscenico che ospiterà incontri con attori e autori, letture, rappresentazioni minime, incontri musicali.

 

Durante il periodo di apertura della mostra sono previsti incontri sui temi del teatro, dei rapporti fra teatro e società guardando agli anni ’70 e alla scena attuale.

 

La mostra sarà allestita nelle Sale Affrescate al piano terreno del Palazzo comunale In Piazza del Duomo a Pistoia

L’inaugurazione della mostra è prevista per sabato 15 febbraio e resterà aperta fino al 15 marzo,

Apertura : da martedì a sabato 10.00-12.30 /15:30-18:00

domenica 15.00-18.00.

Ingresso libero

 

Per informazioni su tutte le iniziative in programma:

www.popistoia.it info@popstoia.it

 

ANNA

Un film di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli

Undici ore di videoregistrazioni magnetiche trascritte su quattro ore di pellicola cinematografica.

 

Regia: Grifi e Sarchielli per i primi giorni di lavorazione. Poi gestita da attori e maestranze.

 

Interpreti: Anna, Massimo Sarchielli, Vincenzo Mazza, Franco, Gabriella, Stefano Cattarossi, Raoul Calabrò, Terry, Louis Waldon, Jane Fonda (per meno di dieci secondi), Annabella Miscuglio, Alberto Grifi, Ivano Urban, Margherita, Pilar Castel, l’avvocato, l’Agostini, Ponchia, Franca la sarda, Roland Knauss, Fifì, Giacomo, Betta, Angelo, la polizia, i pidocchi e molta altra gente.

 

Film indipendente che fu realizzato con uno dei primi videoregistratori portatili arrivati in Italia. Segna il momento di passaggio tra il cinema su pellicola e quello magnetico. Girato nel 1972 uscì in proiezione nel ’75, grazie a un’invenzione di Grifi – un vidigrafo di costruzione artigianale – che permise la trascrizione del videotape su pellicola 16 mm. Fu presentato al Festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel ’75; a Cannes nel ’76 e tenne, un successo mai registrato prima d’allora per un film underground, il cartellone al Filmstudio di Roma per alcuni mesi, divenendo un cult movie del mondo alternativo post sessantottesco. Il film – inizialmente una storia costruita intorno a una ragazzina minorenne e incinta spesso arrestata per vagabondaggio, che viveva tra camere di sicurezza e il mondo dei drop out di Piazza Navona – registra il progressivo rifiuto di attori e maestranze a sottomettersi all’autorità della regìa e alla sceneggiatura – un po’ di appunti preparati da Sarchielli e Roland Knauss – che fu “buttata nella spazzatura” quando Vincenzo, l’elettricista del film, uscendo dalla zona d’ombra del teatro di posa entrò inaspettatamente in campo per fare una dichiarazione d’amore ad Anna – che voleva amore, appunto, e non essere un “caso umano” da tenere sotto osservazione – e ne divenne protagonista illuminando il film di una luce che la sceneggiatura non era stata capace di prevedere.

 

Comparando quel gesto disobbediente a un’irruzione proletaria in un salotto borghese, Grifi pubblicò una elaborazione teorica su come i comportamenti umani vengano immiseriti, filmandoli, perché costretti in una dimensione cinematografica che impone tempi e modi non della realtà, ma solo quelli consentiti dall’economia.

 

L’eccezionalità di questo film, che lo diversifica radicalmente da qualsiasi modo tradizionale di “far cinema” (compreso quello del “cinema direct”), è costituita in primo luogo dal fatto di essere stato girato con un videotape invece che con una macchina da presa. Il costo irrisorio delle videoregistrazioni ha fatto scoprire ciò che non a casa nel cinema tradizionale viene sempre sottaciuto: calcolando in denaro il tempo della pellicola, la regia calcola in denaro anche ‘evolversi dei rapporti umani che filma. Sottoposta alla dittatura del capitale, ed esercitando a sua volta la propria autorità sugli attori, la regia incastra la realtà dei loro rapporti interpersonali, la loro vita, in una dimensione cinematografica contenuta nei modi e nei costi consentiti dall’economia. La sceneggiatura di questo libro mastro che fissa in anticipo i tempi e i modi non di ciò che sarà vissuto, ma solo rappresentato, riproduce, dunque, l’ideologia del capitale. Quanto meno si vive, tanto più si è sottomessi. Tanto la voglia di vivere è rivoluzionaria, perché porta i germi della creazione e del rifiuto, quanto l’idea rassegnata di una vita subita e non vissuta, mantiene le masse del masochismo e nell’asservimento.

 

Anna: minorenne, incinta, scappata da poco dall’ultimo di un’infinità di collegi-riformatori, sbattuta spesso in camera di sicurezza, raccattata da Massimo sarchielli a Piazza Navona, rimproverata per essere sporca dei marciapiedi su cui dormiva, ripulita e spidocchiata per essere resa degna di soggiornare nell’appartamento-teatro di posa, costretta a rivivere per gli schermi lo spettacolo della sua disperazione, è la cavia di un esperimento realistico che dietro al tentativo di mettere in scena una storia melensa e pietistica, lascia intravedere malcelato sadismo, voyeurismo, gretto paternalismo. Ma Anna non è stata al gioco. Anna voleva amore, non pietà. Abbandonata la macchina da presa per sostituirla con un videotape, buttata nel cesso la sceneggiatura, attori e maestranze hanno sempre più rintuzzato e poi via via apertamente contestato il potere della regia. Un giorno, Vincenzo, elettricista del film, è entrato in campo e ha fatto, mescolata ad un racconto sulle lotte operaie, una dichiarazione d’amore ad Anna, mentre si registrava. Un operaio destinato a rimanere fuori dalla scena, fuori dai significati, ha sconvolto i piani della regia. Contro i ruoli fasulli che la regia aveva prestabilito, contro il moralismo pietistico, Vincenzo ha portato la verità dei problemi reali della sua vita, ha portato l’AMORE. La registrazione del tempo reale che dà il videotape non consente tagli o manipolazioni che fanno apparire la vita “più bella” (come fa il cinema, confondendo montaggio e censura): non ci riflette che la nostra miserabile, autentica banalità quotidiana.

 

Così Vincenzo, gli occhi già aperti della lotta di classe e dalla pratica del rifiuto, ha constatato che il comportamento reale della regia era modellato sulla finzione ereditata dal cinema. Disobbedendo s’è riappropriato di se stesso come persona umana, contro la logica che gli impediva di essere un uomo perché lo riduceva ad un elettricista; egli si è rivoltato contro il film stesso, estendendo questo rifiuto al resto della troupe. Il gesto microscopico ma esemplare apre un discorso in una direzione rivoluzionaria: Crea il presupposto perché la realtà stessa divenga il luogo della creazione, e non il film, che nel “migliore dei casi” monopolizza la poesia per separarla dalla vita.

Fonte: Ufficio Stampa

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