Cultura Pisa
da venerdì 28 Maggio 2021 a domenica 5 Settembre 2021
Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi a Palazzo dell’Opera
Dal 28 maggio al 5 settembre 2021 a Pisa nella sede espositiva del Palazzo dell’Opera, in piazza dei Miracoli, si terrà la mostra Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi, a cura Pierluigi Carofano e Riccardo Lattuada e organizzata dall’Opera della Primaziale Pisana.
L’idea della mostra è nata in occasione del recente restauro dei dipinti della cupola della cattedrale pisana, realizzati da Orazio Riminaldi tra il 1627 ed il 1630. Un’opera monumentale, dipinta ad olio, non ad affresco come talvolta affermato, che raffigura l’Assunta portata in cielo dagli angeli e una teoria di santi. Una pittura che sino a quel momento non era possibile ammirare dal basso, a causa dello sporco che progressivamente si era accumulato sulle pareti nel corso dei decenni.
L’esposizione intende mettere in luce, per la prima volta, il percorso umano ed artistico del maestro pisano Orazio Riminaldi (Pisa 1593 – 1630), allievo del celebre Orazio Gentileschi e affascinato in gioventù dalla bruciante novità della pittura di Caravaggio.
Giunto a Roma intorno al 1615, divenne accademico di San Luca, e fece parte della terza stagione dei maestri caravaggeschi. Fu capace di un linguaggio elegantissimo, vera e propria sintesi tra lo stile di Orazio Gentileschi e quello di Guido Reni. La breve vita (morì a 37 anni) non gli permise di sprigionare tutto il suo talento, ma fortunatamente proprio a Pisa si conserva il suo capolavoro, quello che gli ha dato fama imperitura: la cupola del duomo.
Saranno esposti dipinti di Riminaldi provenienti da prestigiose collezioni pubbliche, i modelli preparatori per la cupola, oltre al Ritratto dell’Operaio della Primaziale Curzio Ceuli, nonché l’Autoritratto. All’interno del Palazzo dell’Opera il percorso espositivo è scandito in nove sezioni che illustrano dapprima il contesto ‘pisano’ nel quale si formò Orazio Riminaldi, poi quello romano (con opere di Guido Reni, Giovanni Baglione, Agostino Tassi), senza trascurare i suoi primi maestri, Ranieri Borghetti, Aurelio e Orazio Lomi Gentileschi. In particolare, di Orazio Gentileschi sarà possibile ammirare la straordinaria Madonna col Bambino delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Corsini, un’opera che raramente viene concessa in prestito dal museo romano e soprattutto la Giuditta con la testa di Oloferne della collezione Lemme di Roma. Esposte anche importanti opere di maestri a lui legati, quali la Santa Cecilia con l’organo portatile di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, il San Pietro penitente di Guido Reni e la Santa Cecilia del Guercino, provenienti dalla Fondazione Sorgente Group.
Altre rarità presenti nelle prime sale della mostra sono il Sant’Andrea e il San Bartolomeo, (Roma, Accademia di San Luca) frammenti di una grande pala d’altare del Bronzino in origine collocata nel Duomo di Pisa, ma dispersa in antico.
Orazio Riminaldi è presente in mostra con oltre venti opere ed il suo percorso artistico è ricostruito a partire dalla sua formazione di gusto tipicamente toscano sino all’incontro con il naturalismo di marca caravaggesca, poi declinato verso un più maturo classicismo.
Le opere scelte per tracciare questo percorso sono numerose, ma merita qui ricordare almeno il Sacrificio di Isacco ed il Martirio dei santi Nereo e Achilleo (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini, Palazzo Corsini), il Caino e Abele (Firenze, Gallerie degli Uffizi, la Vestizione di santa Bona (Pisa, chiesa di San Martino), lo straordinario Ercole e Acheloo proveniente da Parigi (Galleria Giovanni Sarti).
A conclusione del percorso della mostra sarà possibile visitare la cattedrale per ammirare la cupola dipinta da Riminaldi, nonché due sue tele presenti nella Tribuna: il Sansone e il Mosé e il serpente di bronzo.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo, edito da EDIFIR, che intende illustrare le sezioni della mostra, tramite saggi storico critici per ogni parte. Inoltre, saranno presenti schede scientifiche per ciascuna opera esposta, contenenti essenziali notizie filologiche e critiche, e una bibliografia finale.
Curatori della mostra: Pierluigi Carofano – Riccardo Lattuada
Comitato scientifico: Franco Angiolini, Stefano Bruni, Veronica Baudo, Alberto Cottino, Marco Ciampolini, Gabriella Garzella, Daria Gastone, Franco Paliaga, Stefano Renzoni, Alessandro Tosi.
Didattica in mostra: Pierluigi Carofano – Tamara Cini
Mostra organizzata dall’Opera della Primaziale Pisana
Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi
Palazzo dell’Opera, Piazza del Duomo 1 – Pisa
28 maggio – 5 settembre 2021
Per informazioni e prenotazioni
www.opapisa.it
Bibliografia
RIMINALDI, Orazio. – Figlio del lucchese Francesco, di professione tintore, stabilitosi con la famiglia a Pisa verso la fine del Cinquecento, e di una Giulia di cui non è noto il cognome, fu battezzato nella chiesa pisana di S. Simone al Parlascio il 5 settembre 1593, primogenito maschio di quattro fratelli e due sorelle).
Come ricorda Filippo Baldinucci, l’inizio della carriera di Riminaldi ebbe luogo prima presso la bottega di Ranieri Borghetti, un mediocre ma affermato pittore locale, e poi in quella ben più importante di Aurelio Lomi Gentileschi, fratello di Orazio Gentileschi, che già risiedeva da tempo a Roma.
Gli esordi del pittore rimangono ancora oggi avvolti nell’oscurità. Il periodo pisano di apprendimento si colloca all’incirca tra il 1605 e il 1615, ma nessuna testimonianza figurativa è rimasta a documentare con certezza questa precoce attività, anche se la critica ha voluto riferire alla fase giovanile due opere: il S. Giovanni Evangelista, conservato nella casa parrocchiale della chiesa di S. Giovanni e S. Ermolao a Calci, nei pressi di Pisa, e la Madonna con il Bambino e i ss. Giuseppe, Filippo Neri e Bartolomeo, individuata nella sacrestia della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta a Montefalconi, presso Castelfranco di Sotto, giunta in pessime condizioni conservative e i cui caratteri ancora acerbi fanno propendere per una datazione nel periodo iniziale del proficuo soggiorno romano dell’artista.
Grazie ad Aurelio Lomi Gentileschi, il giovane pittore fu introdotto nello studio romano di Orazio, uno dei seguaci più rappresentativi nonché amico di Michelangelo Merisi e, tramite i suoi insegnamenti, fu subito indirizzato al verbo caravaggesco. L’incontro di Riminaldi con l’ambiente artistico della capitale pontificia e il suo avvicinamento agli esiti del caravaggismo sono da situarsi sicuramente dopo il 1612, a seguito della violenza carnale ai danni della figlia di Orazio, Artemisia, da parte del pittore Agostino Tassi. Secondo la dichiarazione di Marco Coppini, venditore di colori, chiamato a testimoniare al processo intentato nel 1612 contro Tassi, pare che Aurelio si fosse fatto avanti presso Orazio Gentileschi per trovare un degno marito pisano alla sfortunata nipote. Per tali decisioni, le quali non potevano che nascere da discussioni in famiglia, è assai probabile che Aurelio avesse avuto più di un motivo per tornare a Roma, facendo visita al fratello e alla nipote e portando con sé il promettente giovane pittore.
Nella bottega di Orazio, con il quale è stata ipotizzata un’assistenza del giovane Riminaldi per gli affreschi del Duomo di Fabriano (1613), e prima della partenza di Gentileschi da Roma alla volta di Genova, avvenuta nel 1621, Riminaldi ebbe modo di accostarsi agli esiti più alla moda della pittura allora imperante a Roma, iniziando così una folgorante ascesa che lo avrebbe condotto nel giro di un decennio a essere ritenuto uno dei più importanti pittori della città. Di questo suo repentino successo presso i collezionisti romani è testimonianza una breve biografia secentesca, dal titolo Vita e opera del s.re Orazio Riminaldi pittore celebre eccellente (Firenze, Biblioteca degli Uffizi, ms. 60, I, ins. 31, cc. 711-714), scritta subito dopo la sua morte da un componente della famiglia Crescenzi, che lo protesse, e ripresa in parte da Da Morrona (1792, 1812), testo al quale si è affidata la critica moderna per la ricostruzione dell’attività del pittore. Secondo quanto riferito nel manoscritto, Riminaldi si accostò prima agli esiti di Bartolomeo Manfredi per poi volgere i suoi interessi verso la pittura dei bolognesi, allora assai in voga nella città papale, in particolare ai modi di Guido Reni e di Domenico Zampieri, detto il Domenichino. Primo risultato di queste influenze fu il Sansone che uccide i Filistei della tribuna del Duomo di Pisa, sua prima opera documentata, che gli fu commissionata il 28 marzo 1620 dall’operaio del Duomo di Pisa, Curzio Ceuli, e che rivela i debiti nei confronti del Sansone di casa Zambeccari di Guido Reni, seguito dal Mosè che innalza il serpente di bronzo, commissionatogli nel 1623 ma collocato nella tribuna del Duomo di Pisa tre anni dopo, nel 1626.
Nei Ricordi di Ceuli, manoscritti, conservati nell’Archivio dell’Opera del duomo di Pisa, si specificava che il Sansone doveva essere realizzato a Roma, frase che testimonia come Riminaldi risiedesse nella capitale pontificia, dove stava rapidamente emergendo come uno degli artisti di maggior spicco della tendenza caravaggesca, seppur addolcita dai contatti con gli interpreti più straordinari del classicismo emiliano-bolognese (Guido Reni, Giovanni Lanfranco, Domenichino), nonché del realismo di stampo ‘purista’ rappresentato dai francesi (Simon Vouet, Valentin de Boulogne, Nicolas Régnier). Il rapporto con i pittori d’Oltralpe è ulteriormente confermato dalla notizia della sua presenza, in occasione delle festività pasquali del 1624, in casa di Vouet a una riunione insieme ad altri ventidue pittori italiani e stranieri.
Per Tiberio de’ Cavalieri, suo primo mecenate a Roma, Riminaldi eseguì, in una data non accertata, alcuni affreschi di soggetto biblico per il palazzo di famiglia (oggi perduti) e un dipinto raffigurante la favola di Argo, identificato nella Giunone pone gli occhi di Argo sulla coda del pavone oggi alla Galleria Doria-Pamphilj. Divenuto presto amico dei più autorevoli artisti in auge a Roma (Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, Antonio Tempesta, Giovanni Baglione, Tommaso Salini, Gian Lorenzo Bernini, Vouet), conosciuti attraverso le frequentazioni delle riunioni all’Accademia di S. Luca, egli ricoprì cariche influenti in seno alla stessa istituzione, come quella di censore per gli anni fra il 1624 e il 1626. Nel 1625 risulta iscritto anche alla Compagnia dei Virtuosi al Pantheon, partecipando agli incontri della congregazione.
Fu in questo arco di tempo, concentrato in poco più di un lustro, che Riminaldi ottenne importanti commissioni da parte di alcune delle più illustri famiglie romane, eseguendo opere di destinazione privata contrassegnate da un intenso pathos emotivo e accompagnate da una raffinata condotta disegnativa e coloristica di origine bolognese e affine alla cosiddetta Manfrediana methodus, giocata su un equilibrato dosaggio di luci e ombre di forte ascendenza caravaggesca. Si ricordano il Martirio dei ss. Nereo e Achilleo della Galleria nazionale d’arte antica-palazzo Corsini, il Sacrificio di Isacco per il marchese Asdrubale Mattei (Roma, Galleria nazionale d’arte antica-palazzo Barberini), di cui è nota una seconda versione (già Milano, collezione Koelliker), il Martirio di s. Cecilia (Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina), realizzato per l’esposizione annuale che si teneva sotto le logge del Pantheon, l’Amore vincitore in due versioni (Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina, e collezione privata), una delle quali forse destinata al cardinale Francesco Barberini, il Dedalo e Icaro (Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of art), il Caino e Abele della collezione Schönborn a Pommersfelden, il Buon samaritano (Pienza, collezione privata; Paliaga, 2000), l’Orfeo ed Euridice per la famiglia Bolognetti e di recente nella collezione Koelliker a Milano, il Sansone sconfigge i Filistei (Grenoble, Musée des beaux-arts), il Supplizio di Prometeo (Tours, Musée des beaux-arts), a cui si aggiungono un Re Mida di collezione privata e le Quattro teste di apostoli già della collezione pisana Della Seta.
Dalla biografia manoscritta degli Uffizi emerge una straordinaria e intensa attività prevalentemente rivolta al collezionismo privato, ma di cui diverse opere risultano oggi disperse o non individuate: un S. Sebastiano eseguito per Africano Gerardelli insieme a un altro per Giovanni Battista Casali, uno dei quali da identificare nell’esemplare passato recentemente sul mercato antiquario (Paliaga, 2015); un’Angelica e Medoro e due Teste per Paolo Mercati; un Meleagro che offre la testa del cinghiale ad Atalanta eseguito per il duca di Savoia; mentre per l’Ordine gerosolimitano di Malta pare realizzasse un Martirio di s. Caterina destinato alla concattedrale di S. Giovanni a La Valletta, opera, quest’ultima, che è pensabile avesse richiesto per la commissione un intervento del nobile pisano Francesco Lanfreducci.
A Roma il pittore fu protetto anche dalle famiglie nobili e dai banchieri pisani stabilitisi da tempo in città come i Ceuli o i da Scorno (Bartolomeo da Scorno ottenne una Storia di Alessandro Magno, oggi perduta), e soprattutto dai Crescenzi, famiglia romana attraverso la quale ottenne la commissione dello stendardo con i Ss. Giacomo e Antonio abate da un lato e il Martirio di s. Caterina dall’altro (Assisi, Museo della cattedrale di S. Rufino), nel quale evidenti sono i debiti nei confronti dei maestri del classicismo bolognese.
In virtù di questi straordinari successi, nel 1627 il pittore fu richiamato in patria dall’operaio del Duomo, Curzio Ceuli, grazie al quale ottenne la prestigiosa commissione dell’esecuzione dei dipinti della cupola della cattedrale (oli su muro) con l’Assunzione della Vergine e santi, impresa che fu preceduta dalla realizzazione di numerosi bozzetti e modelli (Ciardi, 1987), ma che rimase incompiuta a causa della morte improvvisa dell’artista, contagiato dalla peste: sarebbe stato il fratello di Orazio, Girolamo, chiamato appositamente da Roma, a completarla entro il 1632.
I dipinti costituiscono un importante innesto, nella cultura figurativa toscana, dei modelli decorativi prebarocchi diffusi a Roma attraverso l’esempio di Lanfranco in S. Andrea della Valle.
Intensa fu anche l’ultima attività svolta a Pisa, che annovera, oltre all’impresa della cupola e al restauro del Trionfo di s. Tommaso d’Aquino di Benozzo Gozzoli (Parigi, Musée du Louvre), alcune opere eseguite per il protettore Curzio Ceuli, un S. Sebastiano e le matrone, un David a mezza figura (tele non rintracciate) e il Ritratto di Curzio Ceuli (già Milano, collezione Koelliker, ora Pisa, Fondazione Palazzo Blu), opera, questa, che rappresenta un significativo esempio di ritrattistica caravaggesca prossima ai modi di Artemisia Gentileschi e agli esempi di Diego Velázquez; unitamente alla bellissima Vestizione di s. Bonadella chiesa di S. Martino, recentemente restaurata, densa di richiami domenichiani e vouetiani, nonché alla pala (andata distrutta) con S. Guglielmo battuto dai demoni e curato da tre vergini eseguita per il mercante fiorentino Guglielmo del Bene e destinata a ornare l’altare maggiore dell’oratorio di S. Cristoforo.
Sono infine, da segnalare altri due quadri di soggetto profano attualmente non rintracciati: Venere e Adone e Sette putti ricordati nel Settecento nella collezione pisana Raù, oggi smembrata.
Al culmine della sua folgorante carriera il pittore ricevette la proposta di affrescare la cappella di S. Gennaro nel Duomo di Napoli (impresa che sarebbe poi stata affidata al Domenichino) e l’invito avanzato dalla regina di Francia, Maria de’ Medici, a recarsi a lavorare presso la corte di Parigi, che non ebbe esito a causa della prematura scomparsa dell’artista.
Nonostante la sua breve carriera, certamente Riminaldi è da ritenere il più importante pittore pisano del Seicento, nonché uno dei massimi e più originali interpreti della pittura caravaggista, la cui produzione è stata fatta oggetto di sempre più approfonditi studi critici a partire da Roberto Longhi (1943), seguito da Mina Gregori (1972), Roberto Ciardi (1987), Gianni Papi (1992; 2006), e per ultimi Pierluigi Carofano e Franco Paliaga (1989; 2000; 2001; 2009; 2013).
Il pittore morì a Pisa il 10 dicembre 1630.
Franco Paliaga
- Orazio Riminaldi
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