Cultura Fucecchio

da lunedì 18 Gennaio 2021 a domenica 24 Gennaio 2021

Nello studio di Giulio Greco

Siamo stati testimoni della visita che nel 1989 Giovanni Testori fece allo studio di Giulio Greco. Allora Giulio viveva a Fucecchio e il suo studio si trovava in un cortile interno, tra via di Porta Raimonda e via del Roccone, subito sotto la parte più antica del paese, sotto alle bellissime torri cadolingie, risalenti al 900 dopo Cristo.

Testori si entusiasmò per il lavoro di Greco e gli volle dedicare un saggio fondamentale, in un libro nel quale compariva anche un mio scritto. Ci avviciniamo al centenario della nascita di Giovanni Testori (1923-1993) e non posso aprire il discorso se non a partire da lui, uno degli intellettuali più importanti del 900, oltre che scrittore e drammaturgo, anche storico e critico d’arte, autore di testi fondamentali, come quelli sul Sacro Monte di Varallo, sul quale scrisse in più fasi della sua vita.

“L’antico, anzi antichissimo coacervo dei riti – scrive Testori – balugina nell’oggi e giunge, non solo a farsi percepire, ma a rivelarci, sotto i tumuli delle stagioni e della storia, i suoi sensi e i suoi significati […] Noi le guardiamo queste ‘tele’; ne restiamo presi e affascinati. Poi, la mano vorrebbe passarvi e ripassarvi sopra; forse desiderando che i segni, di cui sono ripiene, scaldino e vitalizzino di sé anche il nostro vivere d’oggi; un vivere amaro, disperato e, per ciò che riguarda la ‘religio’, ciecamente strozzato e muto”.

Testori vedeva in Greco quello che gli antropologi – De Martino soprattutto – hanno scoperto da tempo: non era una scelta dello spirito la sua, ma semmai qualcosa che ne costituisce l’ossatura; è la natura stessa di una terra antica, che viene fuori in questi uomini.

Greco non ne è che uno degli interpreti. La sua antica ‘religio’, come intuiva Testori, non è una scelta, più o meno radicale, è invece a lui connaturata, ne fa parte e dunque queste opere di così profonda spiritualità, legate ad esempio al messaggio francescano di Chiara d’Assisi, non sono moti più o meno sinceri di un animo inquieto, ma rappresentano la sua immutabile realtà, qualcosa che gli viene da epoche lontane, che è naturalmente legato a lui.

Io – e anche lo stesso Testori – possiamo soltanto invidiarne la purezza, desideri e bisogni , che così intensamente ne creano l’arte.

C’è un’opera di Greco che è antichissima, sarà di quasi cinquant’anni fa. Giulio rappresenta se stesso, di spalle, sopra alla sua città dì origine, Caselle in Pittari, in provincia di Salerno, nel cuore del Cilento. Il quadro è molto suggestivo: la figura è enorme, sovrasta il paese, con la mano regge una grande valigia probabilmente di cartone, la valigia dell’emigrante.

Greco l’avrebbe presa più e più volte quella valigia, prima per venire in Toscana da Caselle in Pittari, dov’è nato nel 1949, poi per tornare al sud dei suoi miti, e poi ancora per ritornare in Toscana, infine – ma chissà se il viaggio sarà arrivato a termine – per spostarsi in Umbria, a Magione, un paese sul bordo del lago Trasimeno, a una ventina di chilometri da Perugia, vicinissimo alla mitica Solomeo di Brunello Cucinelli.

Greco è appunto chiuso in quella valigia, anche se nel ritorno dopo la seconda andata a sud – erano i primi anni 80 -, lui non aveva una valigia, ma la sua intera storia, avvolta sotto braccio: le sue opere bellissime, che toglievano il fiato ogni volta che le svolgeva, erano dipinte su pezzi di iuta, tagliate, cucite, ferite, piene di segni rituali e alla fine avvolte come i tappeti arabi, pronti per essere venduti o meglio per pregare verso la Mecca.

Ho scritto molte volte sul suo lavoro, riporto qui uno dei miei primi pezzi, proprio perché dedicato al suo studio, lo descrivo “… un po’ magico, un po’ luogo di misteriose alchimie, terra di un sud barocco e stracolmo di oggetti, dei segni di antichissime civiltà, ma anche degli inquietanti reliquiari pieni di centinaia di popolari ex-voto”. Appunto questo era il luogo dove lavorava in Toscana, che assomiglia del resto, a quello dove vive adesso a Magione. “Ecco i miei Lari”, dice Greco, queste figure mitiche di origine etrusca, protettrici della casa, ma anche di tanto altro. Greco ne è circondato, il suo studio trabocca e traboccava di piccoli oggetti che lui ha trovato nell’arco della vita, antichi sassi, punte di freccia preistoriche, strani ferri forgiati da antichi fabbri, legni di mitiche navi e soprattutto meravigliosi ex voto.

Spesso, l’ abbiamo detto, questi manufatti finiscono nelle sue opere, riempiendole di poesia, le fanno scartare e scattare: l’intervento di una manualità, da antico artigiano contadino, gli permette di tagliare e cucire, di legare in intrecci evocativi, le sue balle, le sue opere straordinarie, che non reggono la consuetudine del quadro, ma escono da tutte le parti, scucite e ricucite.

In questo Giulio è stato ed è maestro, sa disegnare e realizzare quadri nel più scontato realismo, ma acquista un senso di vera poesia, solo quando lavora libero da ogni costrizione, anche quella che lo avvicina ad una realtà, che lo ha ispirato e che lui potrebbe, volendo, riprodurre. C’è stato un periodo della sua vita, quando fu avvicinato dai mercanti del Tempio, quelli che anche oggi mercificano l’arte, in cui Giulio è rientrato nei ranghi, ha iniziato a lavorare dentro rettangoli predefiniti, ha insomma cercato di realizzare opere che potessero trovare i loro acquirenti.

Non sono stati anni pessimi, ma certo Greco in quei momenti ha un po’ perso il lustro della poesia, si è progressivamente spento. Non succede solo a Greco, naturalmente, accadeva persino a Caravaggio e a tanti suoi predecessori, ma non possiamo non segnalare la presenza spesso invadente di chi ha commissionato l’opera, in questo caso la galleria e il suo direttore. Dentro e fuori da questo periodo il lavoro di Greco è rimasto comunque grandissimo, la sua pittura è pronta per essere letta in qualsiasi antologia critica.

Arrivando al lavoro fatto insieme a Greco, mi chiedo quante volte, nel corso degli anni, questo abbia preso corpo e attuazione. Non è possibile raccontarlo, ma devo almeno dire quanto Greco abbia riempito di poesia il mio lavoro, contribuendo a decine di progetti comuni, fossero spettacoli teatrali, straordinari momenti di animazione per bambini, lavori in carcere, grandi sculture, come quella per Rocco, santo e burattino (se pure enorme), realizzato dentro antiche feste popolari.
Ogni volta Giulio ha portato un eccezionale apporto, ha fatto scattare il lavoro. Mi piace raccontare di quando, a inizi anni 90, ha lavorato per “Assassinio speranza delle donne” di Oskar Kokoschka, che realizzammo insieme nel Carcere Le Sughere di Livorno, con detenuti di terribile fama e anche azioni, imprigionati lì con l’articolo 41 bis, che impediva loro quasi tutto, ma non il teatro. Giulio costruì una meravigliosa macchina scenica, che credo abbia ancora, si trattava di uno dei suoi ripiegabili, un enorme robot di stoffe colorate, alto oltre due metri, che aveva la caratteristica di sparire a terra, per poi essere rialzato, prendere forma e dimensione, diventare il più eccezionale elemento scenico che mi sia trovato a far manovrare.

Come l’aveva realizzato, quali tecniche aveva usato? Soprattutto la magia delle sue mani e della sua mente, insieme ad una serie di altri artifici che lo avvicinano ai grandi creatori delle macchine del teatro barocco, ma anche dei teatrini meccanici del Settecento, gli straordinari automi che sottintendono alla immaginifica trama di un film importante come “Hugo Cabret” di Scorsese (2011), dove ci sono omaggi a decine di film, ma soprattutto agli inizi della storia del cinema, e a George Méliès, primo e insuperato artista del fantastico.

Insomma Greco ha per me “inventato” il suo cinema e ha dato vita anche al mio teatro. Ha realizzato, ancora in quegli anni, una sorta di nave palcoscenico, una scultura teatro, sul quale ho dato vita a moltissimi spettacoli, in spazi molto diversi, con attori altrettanto diversi, che si sono succeduti su questo meraviglioso scivolo. Giulio l’aveva costruito, scolpendone le forme, dando materialità al piano, scavandovi addirittura una piccola fossa, nel quale si sono succeduti i corpi nudi di tanti attori, uomini e donne, che diventavano essi stessi parte della scenografia.

Un lavoro bellissimo, iniziato a metà anni 90 e andato avanti per oltre quindici anni, dove spesso mi tornava (e mi torna anche adesso) la voglia di realizzare qualcosa. Giulio costruì questa nave scenica, in omaggio al suo critico, scomparso da poco, il lavoro su quello spazio cominciò infatti con “Factum est”, “Interrogatorio a Maria”, “Il fabbricone”, tre testi tutti firmati da Giovanni Testori, di cui solo l’ultimo era un mio adattamento, a partire da un romanzo sulla periferia milanese.

La nave – come spersa nella tempesta -, variava ogni volta il punto di vista dello spettatore, nel primo spettacolo era frontale, in quelli successivi ruotava con la meravigliosa prua scolpita da Greco, che colpiva diritta il cuore del pubblico, o al contrario spariva verso il fondo, puntando l’attenzione su una splendida vela di juta che raccontava storie e vicende rosse di sangue.

Si potrebbe continuare per ore, ci accontentiamo di evocare questi fantasmi e tanti altri, che Giulio ha lasciato sul suo lungo cammino, lavorando con grandi maestri del teatro, tra l’altro con Claudio Cinelli, un altro costruttore di fantastici vascelli della fantasia.

Cronaca di
Andrea Mancini

NELLO STUDIO DI
GIULIO GRECO

Magione (Perugia)
ma anche alla Galleria d’Arte Greco Arte
Largo Trieste, 25 – Fucecchio (FI)
Tel. 0571 23431
website: www.grecoarte.com
email: grecoarte@hotmail.it

Fonte: Ufficio Stampa

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