Cultura Firenze

da sabato 18 Gennaio 2020 a venerdì 20 Marzo 2020

Giulia Napoleone: la meditazione ininterrotta dei segni alla Galleria il Ponte

GIULIA NAPOLEONE
nero di china
a cura di
Bruno Corà

galleria Il Ponte – Firenze
18 gennaio – 20 marzo 2020

inaugurazione
sabato 18 gennaio, h 18:00

Catalogo della mostra
Giulia Napoleone
nero di china
a cura di Bruno Corà

prefazione di
Yves Peyré

Edizione Gli Ori, Pistoia

Il Ponte inaugura il nuovo anno con una mostra dedicata a Giulia Napoleone. Artista, cui la galleria aveva già organizzato nel passato due mostre, nel 1996 e nel 2002: nella prima vennero presentati acquarelli e pastelli, nella seconda dipinti ad olio su tela e alcune chine su carta. La mostra che stiamo allestendo, come si può facilmente evincere dal titolo, è interamente dedicata a un nucleo di recenti opere in bianco e nero, realizzate interamente con l’inchiostro di china.
Il volume che la correda, oltre a presentare le quindici opere esposte, ripercorre questo aspetto del lavoro dell’artista fin dalle sue prime piccole chine della metà degli anni Cinquanta. Attraverso le immagini e il testo di Bruno Corà, si potrà così penetrare nella peculiare dimensione di un mondo in bianco e nero, che si concretizza nelle opere di questa artista attraverso l’uso dell’inchiostro di china, portato fino al suo limite estremo. Come scrive nel testo in catalogo per la mostra curata da Giuseppe Appella alla GNAM di Roma nel 2018, Stefania Zuliani: “Un segno dopo l’altro, con precisione paziente e necessaria, da oltre mezzo secolo Giulia Napoleone cerca l’ordine luminoso della forma. Una forma che è viva e perciò imperfetta, come vivo e imperfetto è il pensiero di chi non teme l’errore e quindi rifugge l’ovvio e il già noto.

Ciò che l’artista sperimenta nella quiete silenziosa del suo studio, da qualche anno nascosto tra le colline e i campi di lavanda della Tuscia, è la ricerca ostinata di un equilibrio che nulla concede alla facilità della rappresentazione e che dell’astrazione conosce le regole, ma privilegia le eccezioni, creando immagini nitide, nette di luce e di ombra, immagini assidue che sono l’esito preciso di una tecnica e una materia scelte ed esercitate di volta in volta con perizia e rispetto.
Fuori da ogni rigido vincolo progettuale, Giulia Napoleone si muove fra le sue carte… con la grazia leggera del viandante, senza l’assillo di una destinazione [e come lei stessa scrive]: Il mio lavoro è un cammino che conosce soste, forse, ma che non ha mete né punti di arrivo. É un andare verso.”

In mostra verranno anche presentati gli ultimi suoi due libri d’artista: Yves Peyré, Les Rehauts du Songe (da cui sono tratti i titoli delle opere esposte) e Luigia Sorrentino, Olympia, entrambi per le Edizioni Al Manar, Parigi, 2017 e 2019, corredati da chine e pastelli originali dell’artista.

GALLERIA IL PONTE arte moderna e contemporanea
Firenze 50121 via di Mezzo 42/b info@galleriailponte.com www.galleriailponte.com
tel 055240617 fax 0555609892 – orario 15,30-19,00 sabato su appuntamento – festivi chiuso

Biografia

Giulia Napoleone nasce nel 1936 a Pescara. Vive e lavora in un piccolo paese della Tuscia Viterbese, alternando frequenti permanenze in Svizzera. Dopo il diploma magistrale nel 1954 si avvicina alla pratica del disegno con lo scultore Ferdinando Gammelli. Nei primi anni Cinquanta, all’interesse per la pittura si affiancano quello per la musica, che coltiva con lo studio del violino, e per la fotografia. Nel 1957 si trasferisce a Roma, dove vivrà per lungo tempo, e si diploma presso il I Liceo Artistico. Nello stesso anno si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma e inizia a sperimentare le tecniche incisorie seguita dai maestri Lino Bianchi Barriviera e Mino Maccari. A Roma frequenta il vivace ambiente artistico-letterario (Flaiano, Carlo Levi, Mazzacurati) e dalla capitale si sposta per frequenti viaggi all’estero: Australia, Nord Africa, Sud della Francia, Olanda e Paesi Scandinavi.

Nel 1963 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Numero di Firenze: una selezione di disegni in cui prendono corpo le inedite stimolazioni visive volte all’approfondimento dei temi più cari alla sua ricerca, il segno e la luce. Tema centrale di questi anni è la “ricerca di luce” che non si riduce a puro effetto geometrico, alla ripetizione di forme invariate e costanti, ma alla ricerca di un divenire naturale.

Dal 1965 frequenta la Sala Studio della Calcografia Nazionale di Roma, aperta agli artisti dall’allora direttore Maurizio Calvesi. Nel 1967 il governo olandese le concede una borsa di studio che le offre la possibilità di specializzarsi nell’incisione presso il Rijkmuseum di Amsterdam. La carta si rivela il supporto preferito dall’artista sul quale interviene con l’inchiostro, l’acquarello, il pastello.

Nei primi anni Settanta torna in Olanda, viaggia in Inghilterra e sperimenta l’utilizzo del sicoglass, una plastica durevole e trasparente. Parallelamente insegna all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Dopo le mostre personali alla Galleria dell’Obelisco a Roma (1973) e alla Galleria Menghelli a Firenze (1974) in cui espone lavori in sicoglass, disegni e incisioni, ritorna a studiare alla Calcografia: l’artista, che originariamente aveva inciso all’acquaforte e all’acquatinta, inizia a lavorare con il bulino e il punzone. Nel 1976 compie un viaggio negli Stati Uniti e in Canada per l’inaugurazione di una mostra personale a Toronto; al suo rientro in Italia, dà vita al ciclo di disegni a pastello dal titolo Labirinto della Memoria. A Urbino, frequenta un corso di xilografia e in seguito corsi di incisione calcografica con Renato Bruscaglia, che la introducono all’utilizzo della maniera nera. In questi anni Giulia Napoleone frequenta la Galleria dell’Arco, diretta da Giuseppe Appella e partecipa a intensi scambi tra artisti, poeti e letterati, instaurando una relazione col mondo della poesia antica e contemporanea. Da Lucrezio a Mallarmé, da Baudelaire a Sbarbaro, si susseguono cartelle e libri d’arte: «percorsi di emozioni che talvolta assomigliano a una stenografia lineare, alle soglie della scrittura». In particolare con Vanni Scheiwiller realizza insieme ad Appella un’edizione con quattro incisioni dal titolo Non vedo quasi nulla (1978) con due poesie di André du Bouchet. Il libro, esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi in occasione di una mostra sulla poesia italiana nelle edizioni Scheiwiller, sarà il primo di un’intensa collaborazione con l’editore milanese.

Nel 1980 realizza un ciclo di acquarelli in cui il colore azzurro rappresenta il filo conduttore. Durante gli anni Ottanta nascono lavori che approfondiscono la sua indagine sulla luce e sul colore che verranno esposti a Roma alla Galleria Il Segno (1980) e alla Galleria Il Millennio (1983). Nel 1983, inoltre, presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano si svolge un’importante rassegna antologica dell’opera grafica dell’artista, accompagnata da un volume pubblicato da Vanni Scheiwiller, con testo di Carlo Bertelli. Nel 1986 partecipa con tre grandi acquarelli all’XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (dove sarà invitata anche nel 1999).

Dal 1987 al 1991 realizza un gruppo di disegni a inchiostro di china che si caratterizzano per l’irregolarità dei tagli compositivi e dai quali emerge un sentimento panico della natura. Nel 1992 lavora a un ciclo di acquarelli legati al tema dell’acqua. Nei disegni successivi torna al tema della luce, non più solare o fisica, ma intesa quale pura energia che si espande in direzioni molteplici. Da qui muove la decisione del bianco e nero, concepito come luce-colore, usato con
minimi mezzi e con la massima intensità.

Negli anni Novanta continua a realizzare ed esporre incisioni, disegni a pastello, a china, a matite colorate; in particolare per le retrospettive a Le Locle in Svizzera (1990), a Roma (1992), a Bologna (1995). Nel 1996 espone a Firenze, presso la galleria Il Ponte, un gruppo di pastelli e 23 acquarelli inediti nella mostra La percezione della luce come emozione. Nel 1997 l’Istituto Nazionale per la Grafica le dedica una mostra personale che raccoglie gran parte della sua produzione
grafica di cui acquisisce un cospicuo nucleo di opere. Nel 2001, a seguito di una donazione dell’artista, viene costituito il Fondo Giulia Napoleone al Museo Villa del Cedri di Bellinzona. Seguirà nel 2010 una donazione di incisioni e disegni a inchiostro di china al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze: lavori che documentano le diverse fasi di sviluppo del suo operare fra il 1963 e il 2003, di cui viene presentata in mostra una selezione. Nel 2002, nella sua seconda esposizione alla galleria Il Ponte, presenta un nucleo di dipinti ad olio su tela, dal titolo Mutano i cieli.

Dal 2003 al 2009 vive in Siria dove ha incarico di docenza presso la Private University of Science and Arts di Aleppo. Nonostante l’attività didattica all’estero, partecipa a numerose mostre in Italia e in Europa: a Roma, all’Istituto Nazionale per la Grafica (2007), all’Associazione Mara Coccia (2007), all’Accademia di San Luca (2008); a Reggio Emilia, a Palazzo Magnani (2014) e in Svizzera, a Bellinzona al Museo Villa dei Cedri (2007, 2009, 2015). Sempre in Svizzera, la Galleria Stellanove di Mendrisio ospita nel 2011 una mostra di disegni a inchiostro di china e un libro d’artista a cura di Josef Weiss che dà inizio ad un’importante collaborazione editoriale con Giulia Napoleone. Nel 2014 la stessa galleria espone alcuni pastelli dell’artista insieme ad un libro di poesie di Alberto Nessi con sue incisioni (edizioni Il Bulino) e la riproduzione del manoscritto Tempi innocenti del 1980 con l’aggiunta di componimenti poetici di diversi autori (edizioni Pagine d’Arte), mentre l’Atelier di Josef Weiss presenta una scelta di libri d’artista e il volume Nero con versi di Lucrezio e disegni originali a inchiostro di china. Nel 2016 il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara le dedica una sala espositiva in occasione della mostra collettiva Percorsi d’Arte Contemporanea. 15 Sale per 15 Artisti. Recentemente, nel 2017, propone una serie di dipinti a olio alla Galleria Contact di Roma (edizioni Kappabit) e l’inaugurazione è accompagnata da una performance d’improvvisazione per voce sola di Ludovica Manzo. Lo Spazio polivalente Arte e Valori di Giubiasco in Svizzera ospita una sua personale di pastelli su carta, seguita da una mostra di pitture a olio a cura di Loredana Müller, presso l’Areapangeart di Camorino, presentata da Maria Will, con l’intervento musicale di Walter Fähndrich per tutta la durata dell’esposizione. Sempre nel 2017, si tiene alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano una mostra sui suoi di libri d’artista e incisioni a cura di Alessandro Soldini, e la Calcografia Nazionale di Roma le dedica un’antologica di libri manoscritti, dal 1963 al 2017. Nel 2018, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ricompone il percorso artistico di Giulia Napoleone con una mostra antologica a cura di Giuseppe Appella. Centoquattro le opere (dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, datati 1956-2018) selezionate per evidenziare la nascita e gli sviluppi di un preciso linguaggio formale: dei paesaggi interiori, dei paesaggi “di puntini”, come li definisce lei stessa, di quella ricerca sulla complessità semantica che domina la scena intellettuale e artistica degli anni Sessanta, in cui l’artista opera con la sua personalissima lettura del reale mediata dalla poesia. Nel 2019 la galleria Il Ponte di Firenze presenta nero di china.

Mostra curata da Bruno Corà e corredata da un volume che ripercorre il suo lavoro con l’inchiostro di china fin dalla metà degli anni Cinquanta. Durante la sua carriera riceve numerosi riconoscimenti e dal 2007 è Accademico Nazionale di San Luca.

E’ la poesia di Dante, in questo ritorno fiorentino di Giulia Napoleone al “Ponte”, a fornire l’apertura alla riflessione sulle sue più recenti opere costate circa due anni di lavoro e molti di più per dotarla oggi di una lingua visiva in grado di suscitare immagini che ammirerebbe anche l’altissimo poeta se si trovasse al mio posto:
«La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra e risplende
in una parte più e meno altrove»
E basterebbero questi primi versi della protasi del Paradiso dantesco a suggerire un possibile sentiero ermeneutico da percorrere tra i molti che l’opera di Giulia Napoleone provoca avendo raggiunto la semplicità potente che è qualità dei grandi artisti. Il lavoro infatti esibito in queste recenti opere, non diversamente da quello che lo ha preceduto nel corso di mezzo secolo, seppur compiuto con elementarità lessicale -il punto e talvolta la linea, il segmento geometrico circolare- si rivolge ai valori universali del tempo dello spazio, dell’immaginazione, della memoria, della realtà, del sogno, del desiderio, dell’esperienza, dell’episteme rivolta ai principi e ai limiti come pure agli illimiti insondabili e irraggiungibili, non esclusi quelli della coscienza. E, come ogni autentico poeta, Giulia Napoleone di ritorno dall’osservazione dei cieli e della luce potrebbe ripetere, come Dante stesso suggerisce nei versi che seguono quei primi evocati, «…Vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende» .
Già, ma questo è il destino e il limite della parola! Per questo però l’arte ha dotato qualcuno come Giulia Napoleone della capacità di visualizzare l’indicibile e di dare forma all’invisibile.
Gli effetti che la pittura o comunque l’immagine d’arte reca, a seguito di esperienze che si rivelano essenzialmente metafisiche, hanno il potere di condurre il pensiero alla causa prima e al cospetto degli enigmi più resistenti.

Inseguire la luce nell’andare verso un dove ignoto
Della luce e dell’ombra Giulia Napoleone visualizza la silenziosa ma pervasiva entità. Di giorno e di notte i due fenomeni non conoscono soluzione di continuità. Dirò subito pertanto che la sua arte affronta uno dei rovelli più ardui che hanno attraversato la vita di taluni grandi artisti e – credo di poter affermare – non diversamente quella della stessa Napoleone.
A Roma, dove Giulia Napoleone ha compiuto un lungo tratto della sua vita e del suo lavoro, tra il 1959 e il 1962, attua la sua breve ma intensa parabola artistica anche Francesco Lo Savio, all’insegna di un binomio di ricerca audacissimo: “Spazio e Luce”. Purtroppo il tragico epilogo esistenziale di quell’artista coraggioso e pieno di intuizioni precoci e di straordinaria intensità né interromperà gli sviluppi. Ma mi sembra lecito pensare che, seppur con un sentiero autonomo e parallelo, il lavoro di Giulia Napoleone si sia anch’esso spinto in quella dimensione ardua e solenne inseguendo la luce nello spazio in aperture e latitudini sempre più estreme, piene di rischio ma stupefacenti, ai confini del pensiero visivo e di quello scientifico. Alcune fotografie sperimentali eseguite nel 1960 dalla Napoleone si mostrano dialettiche con le ricerche relative ai “Filtri” di depotenziamento luminoso realizzati da Lo Savio in quello stesso anno. Forme circolari scure in contrasto con forme circolari chiare distinguono le foto di Napoleone mentre Lo Savio sovrappone carte di diversa grammatura e trattamento nelle quali ricava a ritaglio dei tondi che servono a denotare la diversa capacità di attraversamento della luce da un foglio all’altro. In fasi successive si può constatare il reiterato studio della luce in numerose opere di Napoleone, sopratutto nell’acquaforte, acquatinta Ricerca di luce, 1972, nella xilografia Senza titolo, 1976, nelle maniere nere Orizzonti, 1977, nel Mutare dell’ora, 1982-83 (acquerello), in Luci a Numana, 1983, negli inchiostri Oscurarsi, 1984, nella Notte a Numana, 1985, e in Sentieri di luce, 1991. Diverso ma altrettanto assiduo in ricorrenti versioni è lo studio dell’ombra che consegna esiti di differente ed originale sviluppo spaziale. Si va dalle Ombre della sera, 1978, Ombra del mattino, 1978, e Ombra del mare, 1978, tutti inchiostri su carta astratti, ad inchiostri come Studio per Kitawa, 1978 dove l’ombra è deliberatamente ancillare al dato naturale e figurale. Ma dell’ombra Napoleone offre anche altre apparizioni: nella matita Solo se ombra, 1983 o nell’inchiostro L’ombra, 1987 fortemente differito nei segni e nelle forme, o nell’inchiostro su carta Ombre a Villa Doria Pamphili, 1985 sensibilmente diverso dall’omologo Ombre, 1989, in maniera nera. Entrambi tuttavia mettono in risalto adombrati orli di vegetazione che sembrano echeggiare i ‘frattali’ costieri studiati da Benoît Mandelbrot per le sue inedite geometrie. Estremamente lirico Luce ed ombra, 1991 con l’inchiostro dà corpo ulteriormente alla più antica delle antinomie, mentre le maniere nere di Specchi d’ombra, 1992 hanno la sensibilità di riportare alla ribalta insieme con Acqua VI, 1992 e la puntasecca Sera, 1996, l’ossessivo tema della mutevolezza simultanea dei dati naturali luce, ombra, acqua, nubi, vento, cielo che già impegnarono per un ventennio la tenace pittura di Monet nelle Ninfee osservate nel suo giardino a Giverny.

Tra fisica e poetica: gli interlocutori linguistici
Se in fisica la misura dell’importanza di una teoria si valuta dallo sconvolgimento della visione dei fatti naturali che in precedenza sembrava immutabile (Brian Greene) analogamente in arte l’importanza di una teoria linguistico-visiva si misura sulla nuova concezione della qualità di spazio che ci consente di riguardare il mondo e la realtà con altri occhi, come se tutto si riaprisse davanti a noi. Il lavoro di Giulia Napoleone ha la proprietà di chiamarci a constatare come l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si manifestano in una ambigua equazione che parla dei principi della materia come delle leggi cosmiche, provocando il pensiero a una sintetica presa di coscienza di un quadro coerente delle proprietà dello spazio-tempo: il sistema segnico da lei messo in atto non appartiene al dominio della scienza ma a quello dell’arte, eppure esso invita a capire che l’universo è costituito di particelle elementari, che in esso si oppongono delle forze, che il vuoto è pieno di fluttuazioni di forme ed energie; le immagini di Napoleone sovente alludono indirettamente a colonie di atomi, ognuno col suo nucleo e con neutroni e protoni circondati da sciami di elettroni che orbitano attorno al nucleo. Naturalmente il disegno della Napoleone non intende descrivere tutto ciò poiché non è naturalistico ma suscitare molto di più poiché le sue configurazioni di spazio integrano quello che si può osservare nei cieli e nell’universo con ciò che elabora la sua mente e anche la nostra. Infatti, nell’immaginario di ciascuno considerato come ‘altroverso’, tutti noi ci rivolgiamo all”universo’ per percepire una totalità non solo fisica, non solo psichica ma perfino auspicatamente trascendente che verrebbe da definire come sorta di ‘multiverso’.
«Anni di affannose ricerche al buio, di intenso desiderio, di alternanza di ottimismo e disperazione, e alla fine di tutto la luce». Queste parole di Einstein potrebbero essere pronunciate, con i dovuti coefficienti di relazione riferiti al proprio lavoro, da artisti epocali come Lucio Fontana, Enrico Castellani, Sol Lewitt, Roman Opalka, Agnes Martin, Dadamaino e da Giulia Napoleone.

La quale, in questa specifica compagine rapidamente da me supposta e tracciata può, a buon diritto, rivendicare le sue unicità intuitive e i propri principi metodologici e linguistici. Se Fontana infrange il diaframma della tela per indicare una spazialità ulteriore a quella della rappresentazione per giungere alla nozione di ‘concetto spaziale’ reale e Castellani sensibilizza e modula la superficie suscitando spazi dai ritmi infiniti, Opalka nomina ed enumera gli intervalli istantanei sulla tela, come la clessidra con la sabbia, enucleandone la spazio-temporalità; non diversamente, un analogo processo di strutturazione dello spazio compiono Agnes Martin e Sol Lewitt, incentrato sulla declinazione dei segmenti lineari in ordine ciascuno a personali criteri compositivi e di organizzazione delle superfici investite dal segno. Con un sentimento disciplinato dalla tensione iterativa che evoca la prassi quotidiana dell’amanuense medioevale e sorretta da una motivazione etica che si rivolge tanto al sentire sociale che al privato, Dadamaino aspira anch’ella con i segni a rivelare il continuum del flusso degli eventi, delle cose, del tempo-spazio fino a occuparne porzioni sensibili. In tale contesto Giulia Napoleone ha individuato altre leggi, altri ordini, ulteriori dimensioni che, pur dialettiche sul piano semiologico con quelle degli artisti sin qui indicati, hanno però la forza e l’intensità di rivelare enigmi naturali e relative risonanze endopsichiche che con quelle ignote manifestazioni del micro e macrocosmo hanno diretta empatia. Ad occhi chiusi chiunque si stropicci le palpebre, sullo schermo buio della caecitas momentanea, può osservare caleidoscopiche formazioni di fosfemi della durata di millesimi d’istante, molto simili alle colonie di microrganismi rivelati da una lente di microscopio o alle concatenate formazioni di nebulose piene di costellazioni e di corpi celesti, stelle o pianeti raggiunti da un potente telescopio. La novità del lavoro di Napoleone consiste da tempo nell’antico segreto di saper estrarre chiavi e regole da quelle incommensurabili dimensioni percepite in natura e dentro di sé, per elaborare in segni elementari scelti alla bisogna, cerchi, punti, linee, una diversa densità misteriosamente organica, topos di tracciati ideali e di configurazioni conformi, che hanno limiti aperti, che forzano il lato convenzionale delle morfologie rintracciabili in natura per annunciarne altre inedite. Anche se in natura, osservandone gli aspetti, il richiamo alla perfezione è continuo, il mondo nell’insieme rivela però anche la propria ottusità indifferente, il proprio caos, le proprie casualità o – non si sa come altro definire – la sua estraneità fenomenica verso le aspettative ingenue e ignare di un’umanità che invano presume, ancorché si abbia grande considerazione della scienza, di poter porre tutto sotto il proprio controllo.

L’arte di Napoleone disegna quella parte del mondo che non si manifesta mai e che invece, grazie a un mutevole paradigma di segni tracciati per inventare lo spazio-tempo, riesce a visualizzare e dunque a far venire alla luce.
E’ un’integrazione tra il mondo che si mostra così come è in varie apparenze e quello nascosto e percepito interiormente, grazie a quell’«incertezza assidua» che la spinge ogni volta a racchiudere in un’immagine, un eterotopia del pensiero, che tuttavia non ha niente a che vedere con la mimesi o con la cosiddetta ‘illustrazione’. Semmai – molto più efficacemente indirizzata – l’operosità di Giulia Napoleone è rivolta a scoprire l’essenza enigmatica del tempo-spazio, in un processo orientato sia ad avanzare nell’incognita dell’arte sia nella ‘conoscenza di sé’.
L’attività incisoria e calcografica – di cui deliberatamente taccio in questa circostanza per quanto è unanime l’apprezzamento che la circonda – e, alla stregua, il disegno a inchiostro inducono fortemente alla meditazione chi pratica tali arti. E Giulia Napoleone ha dedicato ad entrambe una gran parte della sua vita e della sua attività.

La mostra
L’osservazione nella più recente produzione di disegni presenti in questa mostra sembra proprio confermare l’attitudine autoconoscitiva e al contempo speculativa a cui il disegno reca. L’espressione «Gli uomini sono creature che partecipano a spazi di cui la fisica non sa nulla» (Sloterdijk) può in gran parte sorreggere l’ipotesi avanzata in questa mia breve riflessione secondo cui lo studio della natura e quello stesso della propria interiorità conducono un’artista come la Napoleone ad un grado di conoscenza che descrive spazi ignoti alla fisica e anche alla filosofia stessa. La topologia di cui in molte opere Napoleone traccia le coordinate spaziali è quella di uno spazio che evoca luoghi notturni e diurni, di sogno e di veglia ipnagogica, di desiderio e di ansia, di quiete e di inquietudine; sono luoghi che dimostrano effettivamente che ognuno di noi non risiede solo là dove abbiamo dichiarato di vivere ma in molti ulteriori ‘altrove’.

L’episodio espositivo fiorentino d’oggi di Giulia Napoleone, voluto dalla passione reiteratamente premurosa e da ‘connoisseur’ di Andrea Alibrandi impegnato ad offrire pubblicamente le sue più recenti creazioni si articola in tre gruppi di opere elaborate ad inchiostro di china di diverso formato e supporto. Si tratta di chine su carta pregiata distinte dalle misure (sette di esse di cm 103×103, quattro di cm 103×153) e di tavole preparate (una decina di cm 50×50). La diversità degli esiti fa riflettere sulle alterne pregevoli qualità ottenute dalla Napoleone. Il trattamento diverso delle chine sulle carte e sul legno induce a motivi che trovano il loro equilibrio attraverso tracciati che l’occhio e la mano governano con soluzioni adeguate. Così le chine su carta Vaste rumeur e Au borde du vîde evidenziano rispettivamente l’estendersi sia degli inanellamenti sonoro-visivi dei tracciati alla stregua degli effetti prodotti da gocce di pioggia in uno stagno, sia la geografia di orli e arcipelaghi di luce ed ombra in cui la complementarietà delle due entità è assoluta. In Me plain d’ombre come in L’istant qui oscille la maglia fitta dei segni sembra estendersi come una rete e nuovamente si attua quel miraggio-miracolo in cui è quasi indistinguibile la prevalenza del dominio della luce sull’ombra o viceversa. Au dessu du vîde esibisce la sua regale geometria di triangoli equilateri concentrici come in una matrioska. I tracciati puntiformi che compiuti a mano libera derogano dalla perfezione in realtà esaltano il dato della manualità che rivela il valore temporale e spaziale necessario alla realizzazione dell’opera. La valenza geometrica è protagonista anche delle chine Stabilité du silence e Etoile qui s’ensuite, circonferenza e cuneo come zone di sensibilità segnica parziale ma definita e zone determinate in una latitudine indeterminabile. Le chine sui fogli di carta più grandi lasciano differentemente percepire la qualità estensiva delle processioni di segni che in Ou courent les signes si rivelano orizzontalm ente aperti in ogni direzione, come faglie sismiche enunciate anche nel Le tremblement du corps entier dove una circonferenza e la sua metà rendono emblematica, rispetto a La lampe et c’est le noir, la differenza tra una divisione fisica ed una cromatica ottenuta per diversa intensità di segno. Totalmente soggetta ad una forza idealmente disgregatrice è infine Un geometrie qui tremble. Sulle tavole preparate e disegnate ugualmente a china, se si esclude il linearismo puntiforme dominante La trace, disegno ramificato come meandri fluviali, la maggior parte dei motivi celebra le numerose facoltà geometrico-iconografiche di rappresentazione del quadrato nel quadrato, come Clarté I, o della circonferenza nella forma quadrata del supporto come Le noir e sto arrivando, Chute des atomes, Tout est nuit, Le clarté II, Au milieu, e infine il poligono dai venti lati L’espace, 2018 in sublime metamorfosi verso una circolarità quasi raggiunta.

Nella successione di morfologie esibite dalla Napoleone è forte il richiamo ai giacimenti dell’elaborazione disegnata di geometrie che dalla tradizione platonica del Timeo a quella protorinascimentale del “De Divina Proportione” giunge sino alla complessità delle geometrie teoriche del fisico Thomas Wright (1750) e a quelle frattaliche del tutto contemporanee alle intuizioni-invenzioni della nostra artista.

Sono convinto e concordo pienamente col pensiero di Carlo Bertelli quando afferma, a proposito di personalità artistiche come la Napoleone, che «chi ha tenuto duro non resterà solo», se una «critica radicale priva di compromessi» saprà coniugare quella tensione etica con il «desiderio di silenzio» di generazioni realmente dedicate all’arte e protese come lei all’indipendenza poetica.

opera di Giulia Napoleone

Fonte: Ufficio Stampa

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