Teatro Prato

da venerdì 12 Dicembre 2014 a domenica 14 Dicembre 2014

“Furia Avicola”: al Fabbricone il nuovo lavoro di Spregelburd sulla crisi dell’Europa e sulla fine dell’arte

"Furia avicola": da sinistra, Rita Brütt, Amândio Pinheiro, Laura Nardi, Deniz Özdogan, Fabrizio Lombardo (foto: Giovanni Chiarot)

“Furia avicola”: da sinistra, Rita Brütt, Amândio Pinheiro, Laura Nardi, Deniz Özdogan, Fabrizio Lombardo (foto: Giovanni Chiarot)

Da venerdì 12 a domenica 14 dicembre al Teatro Fabbricone di Prato (venerdì e sabato ore 21, domenica ore 16), arriva Furia Avicola (uccelli impazziti), l’ultimo lavoro del drammaturgo e regista argentino Rafael Spregelburd, coprodotto dal CSS Stabile di Innovazione del FVG con Fattore K e diretto dal drammaturgo insieme a Manuela Cherubini – traduttrice e ormai curatrice “ufficiale” dell’opera dell’artista.

Già molto apprezzato in Italia per la sua scrittura post-moderna e multifocale (Ronconi ha messo in scena due suoi testi), con Furia Avicola Spregelburd disegna l’immagine dell’Europa, con le sue certezze, le sue contraddizioni e le sovrastrutture culturali da cui è difficile prescindere.

Passando per un intermezzo quasi burlesco sulla babele delle lingue e dei contesti di senso, la drammaturgia dello spettacolo giustappone due atti unici sul valore e sui paradossi dell’arte, sulla fine dell’arte, della visibilità, del significato, sull’assurdità della burocrazia, e coincide con una potente riflessione sul senso e le conseguenze della crisi nel nostro tempo.

Sulla scena si parla di come i media modellano la nostra vita, su come ne definiscono le priorità e l’agenda. «Sono rimasto affascinato – afferma Spregelburd – da come è stato trattato il caso di quella anziana donna, che in un paesino nei pressi di Saragozza, aveva a suo modo “restaurato” un affresco. È un dei temi che percorre lo spettacolo. Un “Ecce homo” di un mediocre pittore del primo Novecento e il trattamento catastrofico dell’improvvisata “restauratrice” (che l’aveva trasformato in un “Ecce Scimmia”) sono diventati su giornali e internet una tormentone estivo. Che a quel paesino frutta ora code di visitatori e alla 83enne ‘pittrice’ la consulenza presso un’agenzia pubblicitaria. La vicenda dell’Ecce Homo mi ha spinto a domandarmi perché tanta gente si mette ora in fila per vedere lo “scandaloso” restauro. È la stessa ragione che li porta a fare la fila al Louvre per vedere la Gioconda, capolavoro che già conoscono?».

Lo spettacolo fa anche il punto sulla crisi dell’Euro e dell’Europa «sulla finzione che è dentro la parola crisi – puntualizza l’artista–, perché si tratta in fondo di una parola, di un effetto del linguaggio. E il linguaggio è un modo per rappresentare e semplificare il mondo, e come tale si piega ai diktat del potere e ai suoi ordini. Il mio teatro guarda invece al mistero e al divertimento, che in noi suscitano il caos e il caso. Che per fortuna sono disordinati. Come uccelli infuriati. Angry birds».

Protagonisti in scena cinque attori: Rita Brütt, Fabrizio Lombardo, Laura Nardi, Deniz Özdoğan e Amandio Pinheiro, (affiatato gruppo multilingua emerso dal lavoro di Spregelburd e Cherubini all’École des Maîtres 2012).

La Fine è un mito, in un mondo che sempre più mostra la sua complessità e mette a dura prova la sua rappresentazione. Tutto cambia e si trasforma, i miti di unità e definizione cui siamo affezionati, che ci aiutano a vivere, si mostrano inadeguati a incarnare la trasformazione, perché strumenti riduzionisti di fronte a una realtà complessa, così come ci dimostrano le basi della scienza della complessità. La signora Cecilia Giménez restaura da sola un Ecce Homo, affresco della cappella di Borja, paesino non lontano da Saragoza. All’anziana “restauratrice” non sarebbe mai passato per la testa che il suo lavoro avrebbe scatenato un polverone nel mondo dell’arte occidentale, dividendo critica e pubblico. Un piccolo scandalo che sembra aver spazio più nella rete che nella vita reale e che senza dubbio racchiude le domande fondamentali sulla fine di questa vecchia, moderna pratica che siamo soliti chiamare “arte”. Cecilia Giménez ha dipinto goffamente su un quadro di nessun valore: dalla somma di queste negazioni emerge un oggetto nuovo, inquietante, ineffabile. Il paradosso si serra, come una scala di Escher: adesso la Giménez reclama diritti d’autore sulla sua immagine moltiplicata su magliette, tazze, agende e cappellini. Un ufficio pubblico, i suoi impiegati, il regno della burocrazia. Un momento di follia, o forse di lucidità, la ribellione nei confronti del simbolo dei simboli: il denaro. È la fine anche di questo? L’apocalisse è un’invenzione del potere, è vero, ma cosa rimarrà nel mondo post apocalittico? Stormi di uccelli infuriati. R.Spregelburd e M. Cherubini

 

Al TEATRO FABBRICONE da venerdì 12 a domenica 14 dicembre

(feriali ore 21.00, festivi ore 16.00)

Biglietti da 7 a 17 euro

Info e prenotazioni Teatro Metastasio – tel 0574 608501

Fonte: Fondazione Teatro Metastasio di Prato

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